Sabato 6 AGOSTO 2016 | ore 21.30
Teatro Comunale di Badolato
Residenza Teatrale MigraMenti Off
Rassegna Artisti Emergenti premiati nei maggiori festival di teatro italiano

“Le Vacanze dei Signori Lagonia”

con Francesco Colella* e Mariano Pirrello;
scritto da F.Colella e F.Lagi; regia Francesco Lagi
(Francesco Colella*: Vince il Premio UBU 2010 come miglior attore non protagonista
Finalista del Premio In-Box 2015 con “Le vacanze dei signori Lagonìa”
Vincitore del Premio In-Box 2013 con “Zigulì”)

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Su una spiaggia ci sono due anziani signori, marito e moglie, sono i signori Lagonìa. Guardano le onde che si arrotolano nel mare mentre si srotolano i loro pensieri. Nessuno dei due, però, è nato per dare voce ai sentimenti in modo intonato. La loro è una comunicazione fatta di intimità silenziosa e di risate improvvise, furie e riconciliazioni, pianti e mazzate sulle ginocchia. In questa giornata c’è il tempo per una maledizione e una nuotatina a largo, per il ricordo di una bimba e per quello di una dieta finita già di lunedì, c’è un gabbiano che muore d’infarto e una nuvola a forma di coniglio, c’è una canzone di Gianni Morandi e la fine del mondo, c’è una barca che li può portare via. Il solo racconto che i signori Lagonìa ci offrono è quello del loro amore spietato e dolce, a tratti dispotico o molesto, che noi ci troviamo a spiare. C’è l’epica di un matrimonio durato quarant’anni e questo giorno qua, che non è un giorno qualsiasi della loro vita.

TEATRODILINA
Teatrodilina è un gruppo di persone con esperienze diverse, che si sono unite con il proposito di condividere una pratica e un’idea di teatro. Dal suono al video, dall’arte contemporanea alla scrittura, dal cinema alla musica. Quello che trovano urgente e che cercano di fare è raccontare storie e personaggi che abbiano a che fare con qualcosa che li riguarda, accendendo un’azione emotiva che coinvolga lo spettatore. Alla base del lavoro c’è la volontà di inventare spettacoli restituendo frammenti dei loro percorsi e andando alla ricerca di una comune identità, che sembra perduta ma non in modo irreparabile. Fare teatro è il gesto più contemporaneo e potenzialmente dirompente.

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Sabato 7 Maggio | ore 21.15  locandina-cattività-7-maggio
Teatro Comunale di Badolato
Residenza Teatrale “MigraMenti Off”
www.residenzateatrobadolato.it
Rassegna Giovani Artisti Under 35

“LA CATTIVITA’. BLOODY MARY”  
di Alessandra Cimino
con Alessandra Cimino, Giorgia Narcisi
Live Sound Stage Performer Dario Costa
Regia Sofia Bolognini
Produzione BologniniCosta

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Presentazione ” La Cattivita’. Bloody Mary “

Una poderosa macchina generatrice, uteri invisibili in attesa. Intestino: autostrade di tubi neri.
Due corpi. La terra abitata da niente, zona morta, ventre arido.
LA CATTIVITA’ racconta di un esperimento (riuscito): la vita dopo la vita.
È un incubo post-apocalittico, un mondo parallelo (o futuro?) abitato da creature che vanno a morire.
Quando il proprio destino diventa missione: LA CATTIVITA’ racconta il feticcio del parto. Cordone ombelicale carico di veleno, grappoli di resistenza.
Tutto è già avvenuto una volta per tutte: due robot raccontano la storia dell’uomo fatta di gabbie, pulsioni elettriche, scambi di corpi, nostalgia, rimorso. Paura.
Se l’autodistruzione ha condotto l’umanità ad un immane fallimento, LA CATTIVITA’ è rinascita, o resurrezione, a partire dalla catastrofe.
Dopo il clamoroso successo di ROMEOeGIULIO – sold out a Roma, Formia, Chiaravalle, vincitore del premio Miglior Regia e Miglior Performance presso il Festival Internazionale di Teatro “Faces Without Masks” a Skopje (Macedonia) – bologninicosta presenta in anteprima assoluta un nuovo lavoro: LA CATTIVITÀ. Bloody Mary.
La performance sarà ospitata presso il Teatro Comunale di Badolato, nell’ambito del progetto di Residenza “MigraMenti Off” il 7 Maggio alle ore 21 all’interno della rassegna ” Giovani Artisti Under 35″.

IL PROGETTO
Un misterioso macchinista esegue un pericoloso esperimento per riportare la vita sulla terra, innescando un processo in cui vengono coinvolte due appendici robotiche di una inquietante macchina madre: questa è La Cattività.
La Cattività è uno studio performativo su di un testo poetico.
I corpi non raccontano una storia ma alludono a momenti di vita vissuta, parentesi emotive che si articolano nello spazio procedendo verso la conclusione. Non esistono dunque personaggi dai confini chiari, ma un flusso di coscienza continuo da cui emergono immagini simboliche.
È un primo studio sul cordone ombelicale, sul rapporto viscerale che unisce una figlia e una madre, una proposta artistica che apre al dialogo sull’entità della creazione, sulla sacralità del parto, del rapporto con la terra. Un percorso tortuoso che vuole essere occasione per riflettere sulle conseguenze disastrose di un’umanità che procede dimenticando se stessa. La Cattività.

IL METODO
La Cattività è il risultato di un lavoro faticoso e onesto. bologninicosta aborre e rifiuta le vie tradizionalmente imposte per l’elaborazione di uno spettacolo, come letture a tavolino, studio dei “toni” e altri fastidiosi approcci accademici di questo genere. Il vero attore professionista non è un esecutore ma un creativo: bologninicosta restituisce dignità ai propri attori in quello che è un lavoro di sperimentazione continua e creazione autogestita. È un collettivo teatrale dove piano registico e creatività attoriale lavorano l’uno a vantaggio dell’altro, dando vita ad un ambiente, un sottobosco creativo ricco di potenzialità in cui affondare le radici solide della messainscena.
Il lavoro è strutturato in due fasi: imbuto ad aprire, imbuto a chiudere.
Nella fase di imbuto ad aprire si propongono materiali, si accumulano tesori a partire da un processo di lavoro complesso già di per sé performativo. Per ogni incontro il conduttore elabora una gabbia, ovvero un sistema, una suddivisione geografica dello spazio in aree di interesse emotivo: le postazioni. Ogni postazione è pensata con una dinamica propria di evoluzione: di volta in volta le attrici sono chiamate ad una improvvisazione specifica che coinvolge il corpo, la voce, la narrazione estemporanea di sé. Le performer sperimentano all’interno di questi circuiti per un tempo variabile tra i sessanta e i novanta minuti, senza interruzioni. Contemporaneamente l’esecutore musicale elabora – in ascolto continuo con gli attori e il conduttore – una partitura elettronica lavorando sui sintetizzatori direttamente nello spazio. Le improvvisazioni sono state gestite fin dall’inizio in relazione con lo strumento scenico, ovvero i tubi di plastica nera, consentendo alle attrici di familiarizzare con il materiale costruendo un dialogo credibile.
Di volta in volta, l’intero processo di creazione viene filmato. I materiali raccolti vengono poi visionati e selezionati per quella che è la seconda fase del lavoro: l’imbuto a chiudere. A partire dalle proposte costruite e dall’idea registica, in un movimento di ritorno organico al testo drammaturgico, inizia il montaggio.

LA DRAMMATURGIA
Il testo di riferimento, “Bloody Mary” scritto da Alessandra Cimino, nasce come opera di natura poetica e dunque non direttamente teatrale. Le attrici parlano con sé stesse e col pubblico, in un dialogo sordo e ingestibile. La nascita, la vita, la malattia, la morte. Questi i temi portanti di una scrittura scivolosa ed enigmatica, frammentata e pungente. “Bloody Mary” parla della tragedia di un amore perduto o mai ritrovato, della depressione, del suicidio. Il linguaggio è netto e tagliente, ruvido ed esplicito.
Nel testo originale la scrittura è pensata anche con una propria particolare natura di collocazione sulla pagina: le parole non seguono un’impaginazione standardizzata ma sono agglomerati poetici, isole che emergono dal magma bianco del silenzio, che è anch’esso linguaggio, tempo-ritmo.
Nella versione teatrale elaborata dalla stessa scrittrice il corpus unico del testo è stato diviso in cinque capitoli, i periodi sono stati smembrati e assegnati alle attrici sotto forma di micro-battute, mentre l’idea della collocazione geografica della parola è stata rispettata dalla costruzione registica nella gestione dello spazio scenico.
Uno sforzo drammaturgico ostinato dunque, decisamente ostile e fortemente provocatorio.

L’AMBIENTE SONORO
La drammaturgia sonora è la linea rossa su cui si dispiega l’intero spettacolo, scandendo il passaggio da un’immagine all’altra e disegnando pareti emotive e suggestivi spazi d’azione in cui le attrici si trovano immerse e, in alcuni casi, costrette. Il compositore ha lavorato quotidianamente con la regia e gli attori, in un dialogo continuo che ha portato ad una solida e fertile alleanza. Sono praticamente assenti delle pre-elaborazioni: durante la messainscena l’esecutore musicale eseguirà una performance dal vivo utilizzando i sintetizzatori e le drum machines, in composizione estemporanea live.
In La Cattività il compositore non ha elaborato una colonna sonora a monte, né improvvisa sul palco come un agente esterno forzatamente inserito nel contesto scenico (come spesso avviene nel teatro performativo), ma è realmente parte dell’azione, recitando il ruolo del macchinista mentre esegue musica dal vivo. Egli è dunque a tutti gli effetti performer, una figura di potente innovazione perché mette realmente insieme l’interpretazione attoriale e la composizione musicale live, in un esperimento ambizioso e originale.

NOTE DI REGIA
La cattività è uno studio performativo che mette insieme ricerca teatrale e composizione sonora live.
La Cattività è uno studio sul corpo in gabbia, derubato e rabbioso. Le attrici hanno lavorato a lungo per sganciare quasi completamente l’interpretazione del testo dall’azione scenica: i due piani proseguono parallelamente creando dissonanze e contrasti.
Lo spazio scenico è ingombro di cavi neri, spessi e lucidi: i corpi si muovo al loro interno, costruendo immagini e labirinti simbolici, pronti subito a sciogliersi e rimescolarsi nel magma intestino delle tubature e dei congegni meccanici.
Le luci sono immaginate tutte da terra, tranne un faro che dall’alto illumina il macchinista. Questo insolito disegno luci restituisce l’immagine di una camera chiusa, una dark room da incubo dove respira una minacciosa macchina tubolare.
Un ruolo di fondamentale importanza riveste il Macchinista, che da dietro la sua postazione innesca l’esperimento e conduce come un burattinaio l’azione scenica eseguendo musica dal vivo.
La partitura sonora si compone di voci, schianti, fischi e risucchi, in un sottobosco sonoro stridente e insostenibile, allucinato e deforme.
Dopo uno svolgimento feroce e drammatico il finale si colora di stupore, spiritualità, meraviglia.
Racconta i sentimenti umani da lontano, li scompone analiticamente alla ricerca di un comune denominatore: il riconoscimento di sé nell’altro.
A partire dall’incubo apocalittico della terra desertificata e ridotta ad una giungla di plastica nera, La Cattività racconta ancora, e sempre, la ricerca di una bellezza.

LA PRODUZIONE
bologninicosta è una produzione che si occupa di arti perfomative. È un progetto di ricerca sociale e artistica.
Sociale perché si interessa di questioni civili utilizzando gli strumenti offerti dalla sociologia: indagine sul campo, raccolta dati, interviste. È uno studio attivo sul territorio, che attraverso l’esperienza diretta con le realtà suburbane amplifica e trasmette la voce delle minoranze.
Artistica perché, attraverso l’attivismo creativo, va alla ricerca di nuovi linguaggi.
Spettacoli teatrali, live performances, istallazioni audiovisive: bologninicosta è un tentativo di contaminazione e sfondamento tra pratiche diverse di comunicazione col pubblico, passando dalla teatro-danza alla sperimentazione sonora con l’utilizzo di sintetizzatori e drum-machines.
bologninicosta è un processo, un’officina creativa in cui vocazione civile e onestà artistica vanno di pari passo, nel tentativo sempre aperto di ridisegnare un’ipotesi di spettacolarità più autentica e meno grossolana, una forma di fruizione più consapevole e precisa, veramente umana.

RESPONSABILI DEL PROGETTO
Sofia Bolognini: drammaturga, attrice, regista, arte-terapeuta. Esperta in teatro corporeo, conduzione di gruppi, tecniche di training fisico-emozionale. Laurea in Filosofia presso “La Sapienza” di Roma.
Dario Costa: attore, compositore, vocal coach. Esperto in elaborazione di colonne sonore, composizione elettronica live, training vocale, ricerca sociale. Laurea in Psicologia della Comunicazione presso l’Università di “Milano-Bicocca”, Laurea Magistrale con Lode in Sociologia e Ricerca Sociale presso “La Sapienza” di Roma.

Domenica 24 Aprile | ore 18.00
Rassegna Artisti Emergenti Premiati nei maggiori festival italiani

“LAMAGARA”

Premio della Critica – gaiaitalia.com – Roma Fringe Festival 2014
Da un’idea di Emanuela Bianchi
Scritto da Emilio Suraci ed Emanuela Bianchi
Adattamento e interpretazione di Emanuela Bianchi
Produzione Confine Incerto

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DSC_0105 Presentazione “Lamagara”

Calabria, 1769.
Cecilia Faragò è l’ultima fattucchiera processata per stregoneria nel Regno di Napoli.
Con lei muoiono i segreti della terra in un luogo del mondo in cui la terra è potere.
Chi è la magàra Cecilia?
Fata o strega, lucifera, portatrice del sole o della luna, infine e prima di tutto una donna.
Che si appropria della forza tellurica dal ventre del mondo e ne fa decotto di erbe, credenza, maleficio.
Lamagara è la donna che pensa, che guarda troppo avanti, che sospetta, che non crede a niente.
La strega a cui il mondo chiede di nascondere le sue ipocrisie, per poi lapidarla per le sue stesse colpe.
Una microstoria che si affaccia dal passato, un urlo di redenzione da quel mondo di storie disperse che formano la memoria negata del genere femminile.
Profetessa dell’uguaglianza e donna irregolare di un Mediterraneo arcaico, viscerale, erotico, fatto di magismo, superstizione e divinazione, domina la natura aspra della terra, dei suoi frutti, dell’acqua, del fuoco.
Notti di luna e profumi arcani di un Sud dell’anima e del corpo raccontano quel fuoco di rabbia che seduce, verità di ogni tempo senza sovrastrutture.
Lamagara mette in scena i luoghi eterni della generazione e dell’eros, della diffusività maternale di vita, morte e reificazione in corpore feminae.
Non un semplice monologo, ma un’interazione di voci della storia, sommerse nell’oblìo di un presunto peccato, che si elevano, con il personaggio di Cecilia, verso la luce, a smascherare il doppio volto della verità dell’uomo, le pieghe della sua quotidiana magia.
Un linguaggio denso e terrestre come humus, impastato di un materiale verbale pieno e screziato dove il corpo è utilizzato come strumento della narrazione che coinvolge lo spettatore in una esperienza sensoriale potente, poetica e parossistica.
Lo sguardo di Emanuela Bianchi diventa parola, genesi, riscatto di una verità selvaggia, processata dalla storia.

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LA CRITICA

“Una tipologia di attrice non comune, legata a ruoli, personaggi e culture del nostro sud che dovrebbero essere riprese e valorizzate, secondo una chiave di attualizzazione ‘neo-verista’ del controverso e multiforme contesto storico-sociale del Mezzogiorno d’Italia.”
Vittorio Lussana – Periodico Italiano Magazine

“Emanuela Bianchi ci lascia a bocca aperta recitando un testo straordinario, calcando la scena con le sue danze perfette per equilibrio e dosaggio delle energie, ci suggestiona con la sua bravura e la sua bellezza, ci incanta con la sua voce e le sue canzoni, ci offre momenti di perfezione estetica e drammaturgica, una interpretazione misurata e controllata con intelligenza, ci regala finalmente quello che è stato – per chi scrive -lo spettacolo più bello visto al Roma Fringe Festival 2014 e per questo, chi scrive, ringrazia Emanuela Bianchi perché con il suo lavoro ci ha confermato che questo teatro che tanto amiamo e critichiamo regala ancora gioielli meravigliosi quando meno ce l’aspettiamo.”
Ennio Trinelli – gaiaitalia.com

“La Cecilia Faragò cui Bianchi dà vita è una donna autonoma e intelligente, tutt’altro che asservita o incapace di comprendere quanto le sta capitando, tanto che la sua presenza su palco si fa mezzo di un risarcimento morale che ci rende responsabili tutti e tutte.
Una metafora luminosa e vivente della possibilità di un modo di vivere di una donna che è ora sulla scena come è stata allora nella Calabria del 1700, non importa quanto gli uomini abbiano cercato di zittirla.” Alessandro Paesano – teatro.it

“L’attrice riesce a mostrarci , attraverso l’utilizzo di una vocalità estrema, tendente al grido, una imbastitura di piaghe. Piaghe tutt’altro che da decubito. Ma ferite frutto di giudizi prodotti da una società allora come adesso prigioniera di una teologia sbagliata. Se non addirittura fasulla! L’uso del corpo nonché la gestione dello spazio non giocano certo al risparmio emettendo conati di senso di colpa. Lamagara. Una Medea tinta di Giovanna D’Arco, ma con un’estetica degna della Bernarda Alba in assetto da trigesima.”
Giovan Bartolo Botta – http://giovanbartolate.wordpress.com/

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Domenica 10 Aprile | ore 18.00
Rassegna Giovani Artisti Under 35
“Felici Matrimoni”
con Carlo Gallo e Vincenzo Leto – regia Lindo Nudo
Produzione Teatro RossoSimona 

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Presentazione

“Felici matrimoni”

felici-matrimoni-WEBE’ una pièce composta da tre atti unici nella quale s’ironizza sull’istituzione più consolidata, analizzando gli entusiasmi e le emozioni del fatidico “si” e le disillusioni che subentrano a causa di eventi imprevedibili e anni di forzata convivenza.

E dopo il fatidico si, lo scambio delle fedi, la commozione di parenti e amici, gli estenuanti festeggiamenti, le foto, le bomboniere, nella giornata più importante della loro vita, una giovane coppia di sposi, finalmente soli, come tradizione vuole, con lei in braccio a lui, fanno ingresso in scena, pardon, nel loro nido d’amore, dove consumeranno la loro prima notte di nozze.

La moglie, l’amante e il marito: un appassionato triangolo che vedrà soccombere uno di loro in un frenetico e giocoso scambio di ruoli.

La coppia consumata dagli anni di convivenza vive il dramma, cinico e ironico, della malattia di uno dei due coniugi.

Il marito, assiste la moglie, gravemente ammalata, al suo capezzale, per accompagnarla, quanto più velocemente possibile, ad altra vita.

Una coppia di attori, divertenti, istrionici, si cimenta e si alterna, nel gioco del travestimento al femminile, tanto sfruttato in ambito cinematografico, con risultati esilaranti, in una commedia leggera e frizzante.

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Lindo Nudo

Con

Carlo Gallo e Vincenzo Leto

Scenografia (Angelo Gallo) Teatro della Maruca

Costumi Maria Concetta Riso

Sabato 19 alle ore 21,15 al Teatro Comunale di Badolato, per il programma della Residenza Teatrale “Migramenti off” diretta dal Teatro del Carro, si potrà assistere a “South” momento finale del progetto di residenza della Compagnia Officine Jonike Arti diretta da Americo Melchionda e Maria Milasi.

“SOUTH” – studio ispirato a “Ricorda con rabbia” di John Osborne
con Americo Melchionda, Maria Milasi, Francesco Gallelli, Sara Rosa.
A cura di OFFICINE JONIKE ARTI
Direzione mise en espace
Americo Melachionda
Drammaturgia
Maria Milasi
Collaborazione drammaturgica
Domenico Loddo

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Per un lungo periodo la compagnia di Reggio ha condotto, all’interno della Residenza di Badolato, un lavoro di ricerca e sperimentazione drammaturgica il cui punto di partenza è un classico del Teatro del secondo ‘900: Ricorda con rabbia di John Osborne. Un testo che parla di una generazione “arrabbiata” perché vive all’interno di una società che non funziona, i cui ingranaggi sono usciti dai cardini e non vi è nessuno che dimostri il coraggio o la voglia di riparare. I protagonisti vivono una condizione di apparente immobilità in cui, però, niente resta fermo e sotto alla superficie le vicende si intrecciano e viene soffocato un amore, si perde qualcosa, si sfrutta un’amicizia, si perde ancora qualcosa e solo alla fine il cerchio si richiude. E il sentimento centrale della vicenda è la rabbia. Rabbia che il protagonista scarica sulla moglie, rabbia che lei si lascia piovere addosso e assorbe, o finge di assorbire, come terra secca. Ma la pioggia non può durare a lungo prima che la capacità di drenarla ceda, ed una volta che si arriva al limite, nella terra si aprono delle crepe, diventa fango e la situazione cambia. Ma cosa c’è dietro alla rabbia? Un disperato bisogno di amore e protezione, di complicità e sicurezza. La voglia di sentirsi accettati senza riserve. Un posto dove nascondersi quando quello che c’è fuori è troppo da sopportare e la sensazione di essere sull’orlo del precipizio si fa sentire.

Il lavoro che Americo Melchionda e Maria Milasi hanno operato sul testo di Osborne traspone l’originale collocazione londinese degli anni ’50 nel Sud dei nostri giorni. O meglio in un perenne Sud in cui tutto è immobile, in cui le ambizioni giovanili vengono frustrate e represse. Un mondo senza futuro e con un presente asfittico. Un contesto che produce relazioni squilibrate e violente.
Quella che sarà presentata sabato 19 al Teatro Comunale di Badolato non sarà uno spettacolo “finito” ma la dimostrazione di lavoro di una ricerca in corso d’opera. Una “mise en espace” in cui gli attori alterneranno parti recitate a momenti di lettura e prova del testo.
Sarà, per il pubblico, un’occasione per entrare dentro il processo di costruzione di uno spettacolo e capire l’evoluzione delle varie fasi del lavoro di creazione teatrale.

In scena, oltre ad Americo Melchionda e Maria Milasi ci saranno due allievi attori di Badolato: Francesco Gallelli e Sara Rosa, due giovani che si sono avvicinati con passione al teatro proprio grazie al costante lavoro fatto, fin dal 2012, dal Teatro del Carro.

Giovedì 10 marzo 2016 – ore 21.15
Teatro Comunale di Badolato
in occasione della V Giornata Naziolale dell’Attore dedicata al ricordo di Pino Michienzi

“Diario di provincia”
di e con Oscar de Summa*
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*Finalista del Premio Rete Critica 2015
Vincitore del Premio Festival Cassino Off 2015
Finalista Premio Ubu 2015 – sez. “Miglior progetto artistico”

Presentazione -
“Erchie : provincia di Brindisi, città medievale, Comune d’Europa”. Ebbene, proprio ad Erchie, nel cuore della Puglia arsa dal sole; lo stesso sole degli antichi greci tanto che l’urlo di Eracle, o Ercole che dir si voglia, ancora fa tremare; dove gli ulivi brillano nel grembo fertile di una cultura millenaria, a cui popoli di tutto il Mediterraneo hanno ambito; proprio qui, non succede più niente.
Uno “spleen” , ma uno “spleen”….
Una depressione da calura estiva dura tutto l’anno e fa sì che l’immobilità del tempo sia la regola.
Urlando “no!” a tanta noia, spinto dal desiderio di vivere emozioni forti, Il giovane protagonista di “Diario di Provincia” rinuncerà al posto fisso da barbiere, presso il maestro di vita Angelino Sclerotico, per tentare una nuova via: quella di censore della spazzatura. Ma questa esperienza non darà il risultato sperato e dopo una serie di incontri sbagliati, di tentativi falliti, di incidenti esilaranti, quando ormai la noia di sempre sembrerà averla vinta sul Nostro, ecco che egli darà una svolta trasgressiva alla sua vita trasformando radicalmente il proprio look e presentarsi in piazza con la “cresta verde”. Solo l’uscita dei bambini dalla scuola e il loro entusiasmo per la stranezza dell’acconciatura impediranno il linciaggio da parte dei concittadini. Anche le mura domestiche non saranno accoglienti e più tolleranti.
Si ride per un’ora e un quarto dei personaggi che popolano questa storia: figure mitiche che, attraverso la narrazione, riconosciamo come appartenenti anche alla nostra adolescenza e quindi universali, perché “tuttu lu munno è paisi”.
In scena solo il corpo dell’attore e la sua forza espressiva in uno spazio che via via diventa casa, officina, strada, piazza.
Si ride tanto, fino a scoprire che non sempre è bene quel che sembrava finire bene, ricordando
“Gioventù bruciata”:
• “Perché facciamo tutto questo?”
• “Per vincere la monotonia, non ti pare?”

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SABATO 13 FEBBRAIO – ORE 21.15
TEATRO COMUNALE DI BADOLATO
Residenza Teatrale MigraMenti Off
www.residenzateatrobadolato.it

ANTROPOLAROID
di / con TINDARO GRANATA

Premio “Mariangela Melato” – Prima Edizione – Attore emergente
Premio della giuria popolare della “Borsa Teatrale Anna Pancirolli”.
Premio “ANCT” dell’Associazione Nazionale dei Critici nel 2011.
Premio Fersen in qualità di “Attore Creativo” nel 2012.
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Antropolaroid, spettacolo di cupa bellezza, struggente, attraversato da un’inquietudine dolorosa, dove a tratti si coglie ugualmente, amaramente, l’occasione di ridere, per la caratterizzazione dei personaggi, il loro susseguirsi sulla scena, per l’abilità stessa dell’attore nel trasformarsi: tante
le metamorfosi.
Straordinario Tindaro Granata da solo racconta di figure familiari, di generazioni, di una terra, la Sicilia, da cui anche allontanarsi. Con il proposito di andare a Roma, diventare attore, fare del cinema …
Perché dentro questo spettacolo ad alta condensazione ed intelligenza teatrale, ci sono , rielaborate con molta sensibilità, schegge di storia dello stesso interprete in scena, con quel titolo che fonde insieme la ricerca antropologica con lo scatto fotografico, la memoria trattenuta nell’immagine, racconto tramandato, vissuto profondamente.
Antropolaroid è creazione teatrale colma di molte emozioni, per il testo, la recitazione, per la concretezza e l’universalità della narrazione, il ritmo avvolgente.
Tindaro Granata passa attraverso i decenni in molteplici ruoli, ad ogni età, maschio o femmina, tra giochi, balli, lavoro, relazioni familiari, paure, brevi passaggi ogni volta a comporre dialoghi, legami, situazioni, lui solo e tanti .
La novità di uno spettacolo come Antropolaroid sta nell’utilizzo di una tecnica, antica, come quella del “cunto”, che viene scomposta e il meccanismo del racconto viene sostituito dalla messa in scena dei dialoghi tra i personaggi del racconto.
Non vengono narrati i fatti, ma i personaggi parlano tra di loro e danno vita alla storia.
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Trama
Francesco Granata nel settembre del 1925 si impicca perché scopre di avere un tumore incurabile. La moglie , incinta, sola, si reca spesso al cimitero per “bestemmiare” sulla tomba del marito.
Il figlio Tindaro Granata nel 1948 viene implicato in un omicidio di mafia, ordinato da un noto mafioso di Patti. Maria Casella, nel ’44, si innamora di Tindaro che incontra ad una serata di ballo organizzata da suo padre per presentargli il suo futuro sposo, un ufficiale tedesco. La giovane si oppone al matrimonio, scappa con Tindaro, facendo la “fuitina”.
Teodoro Granata nasce l’anno dopo. Diventato adulto, Teodoro emigra in Svizzera. Tornato in Sicilia sposa Antonietta Lembo e con l’aiuto del signor Badalamenti apre una falegnameria. Tindaro Granata nasce nel settembre del 1978. Adulto, parte per il servizio militare, si imbarca per due anni su
nave Spica e qui incontra il nipote del boss del suo paese di origine, Patti.
Il giovane Tino (nipote del boss) , dopo che il padre viene indagato per delitti di mafia, si confida con Tindaro. Ma questo è il giorno in cui Tindaro parte per Roma, vuole diventare un attore. Tino si suicida, impiccandosi.

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Per la sua originalità e l’innovazione che rappresenta per la scena teatrale italiana, lo spettacolo vince:
Premio della giuria popolare della “Borsa Teatrale Anna Pancirolli”.
Premio “ANCT” dell’Associazione Nazionale dei Critici nel 2011.
Premio Fersen in qualità di “Attore Creativo” nel 2012
Premio “Mariangela Melato” – Prima Edizione – Attore emergente.

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Scene e costumi Margherita Baldoni e Guido Buganza
Disegno luci Matteo Crespi
Elaborazioni musicali Daniele D’Angelo
Organizzazione/Distribuzione Paola Binetti
Produzione Proxima Res
Durata 65 minuti

Domenica 27 dicembre | ore 18.00

Teatro Comunale di Badolato

CUCINAR RAMINGO

di e con Giancarlo Bloise

seguirà degustazione di cibi e vini preparati per e sulla scena

CucinarRamingo, in capo al mondo – Giancarlo Bloise - PREMIO T

La cucina come pretesto per il racconto millenario dell’uomo alla ricerca delle sue più intime radici.

Un connubio tra la scena ed i fornelli, tra la narrazione ed i mestoli. Un cuoco-attore che si fa marinaio e condottiero, che come zingaro ci porta in terre lontane tra profumi e aromi sopiti. Gli oggetti contenitori sono stati progettati per sostenere l’azione pratica della cucina e ospitare gli strumenti dell’opera: coltelli, pentole, scritti, padelle, miti, taglieri, alimenti, idee, ricette ecc… Il lavoro che l’attore compie con essi diviene gioco di scoperta e mutamento. Nel piccolo panorama che Cucinar Ramingo tenta di evocare, attraverso gesti di cucina e tecniche della trasformazione del cibo, le arti si mescolano e confluiscono nel teatro. Un piatto gustoso da servire a spettatori di ogni tipo.

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“Ogni volta che mi trovo nella condizione di riassumere quello che faccio in scena, il punto di vista è immancabilmente mutato, diverso. Per comodità esplicativa potrei dire che cucino nel luogo mettendo a disposizione oggetti progettati ad hoc, per arrivare ad un prodotto cotto e assimilabile… e che racconto di viaggi nella mitologia greca, nelle regole della cucina ebraica e nella scrittura di Giuliano Scabia. Ma come racconto? Con che cosa racconto? Gli oggetti contenitori sono stati progettati per sostenere l’azione pratica della cucina e ospitare gli strumenti dell’opera: coltelli, pentole, scritti, padelle, miti, taglieri, alimenti, idee, ricette ecc… Il lavoro che l’attore compie con essi diviene gioco di scoperta e mutamento. Nel piccolo panorama che Cucinar Ramingo tenta di evocare attraverso gesti di cucina e tecniche della trasformazione del cibo, le arti si mescolano e confluiscono nel teatro.

CucinarRamingo, in capo al mondo – Giancarlo Bloise - PREMIO T

I frammenti di scena che compongono il Cucinar Ramingo, sono nati in relazione alle differenti pratiche svolte e agli incontri avuti durante la formazione personale e successive rêveries, rielaborazioni, ricicli, progetti e scrittura. La rêverie o fantasticheria tradotta nella nostra bella lingua, si differenzia dal sogno come ricorda il filosofo Gaston Bachelard: Il sogno cammina linearmente, dimenticando la sua strada mentre la percorre.

La fantasticheria lavora invece a stella, ogni fantasticheria ritorna, una volta concluso il suo tragitto, di nuovo al suo centro, per gettare nuovi raggi. Nell’antica Grecia si crea una profonda relazione tra cibo e musica. I primi strumenti musicali presero forma sugli altari, nacquero dai “resti” di sacrifici. La pelle dell’animale servì a costruire tamburi, le corna mutarono in strumenti a fiato con cui stabilire un ponte sonoro con il regno dei morti. Il banchetto allo stesso tempo divenne uno spazio rituale di unione tra terra e cielo. La carne per gli uomini, le ossa arse miste ad aromi destinate alle divinità del cielo. Il fuoco è il tramite, ospite d’onore. Mentre il Cantore accompagnato da una lira o per mezzo della sola voce, destava l’in-canto, un’altra figura si occupava dell’uccisione, del ripartire, arrostire e approntare la tavola: Mageiros: macellaio – cuoco -sacrificatore.”

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Giancarlo Bloise

“Ho fatto il cuoco di professione per più di dieci anni, sono stato responsabile della cucina del ristorante Koscher Vegetarian Food di Firenze. Interrotto il percorso di studi in architettura dopo il quarto anno i miei interessi si diressero sull’immagine e sulla regia cinematografica; in seguito un primo ciclo di studi teatrali al Laboratorio Nove con Luca Camilletti e Renata Palminiello. Parallelamente ho avuto modo di seguire il poeta Giuliano Scabia nella sua opera a Firenze e oltre; l’attore Tage Larsen a Holstebro – Danimarca; il cuntista Mimmo Cuticchio in Sicilia e la vocalista Tommasella Calvisi nelle colline toscane. Il burattinaio Tomas Jelinek nelle regole Kosher e nell’amicizia; l’architetto urbanista Riccardo Mariani nei libri e nelle lunghe chiacchierate in casa – zona mercato di Sant’Ambrogio (FI).

Mi sono occupato di studi che a poco a poco sono divenuti ricerca e confronto, distillando una figura professionale o un immaginifico/mestiere: Narra – Attore – Cucinante.”

Altre info su http://www.cucinarramingo.it/

Sabato 29 novembre ore 21.15
Rassegna Teatro di Prosa / Sentieri Calabresi

Teatro del Carro - Pino Michienzi
Teresa. Un pranzo di famiglia
di Francesca Chirico
con AnnaMaria De Luca – regia Luca Michienzi

acquista il biglietto cliccando sul link qui sotto
https://www.tikidoo.com/it_IT/Events/Teresa-Un-pranzo-di-famiglia-Biglietti/

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“Teresa ama l’esattezza dei numeri e odia la libertà delle parole. Sognava di fare la parrucchiera ma le hanno insegnato a “parlare quando piscia il gallo”, che la famiglia è una cosa grande e che chi la disonora sparisce. E crescendo non ha mai tradito la lezione. Sposa senza amore, vedova assetata di vendetta, madre consigliera, Teresa ogni giorno apparecchia un posto a tavola anche per chi non c’è, per il marito ammazzato, per il figlio arrestato. Sacerdotessa solitaria di un rito messo in crisi, con tutti i suoi disvalori, dalla scelta di libertà della figlia Angela diventata testimone di giustizia per sfuggire ad un mondo di violenza, silenzio ed infelicità. Lacerata dalla decisione di Angela, Teresa ripercorre in scena la propria vita, ricomponendo storia dopo storia, nome dopo nome, il cupo affresco di una famiglia”.

Teresa – Un pranzo di famiglia è un testo originale scritto da Francesca Chirico appositamente per Anna Maria De Luca. Una sfida quasi “paradossale” per un’autrice che, invece, ha raccontato, con precisione e partecipazione, quelle donne che in Calabria hanno  reagito con la forza eversiva della parola alla violenza, al dolore, all’ingiustizia, sfidando la ’ndrangheta, ma anche un mondo che tace.

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Sabato 22 novembre | ore 17.30
Rassegna Teatro di Prosa / Ragazzi e Famiglie
“Il bambino dei tappeti. La vera storia di Iqbal Musih”
di e con Giovanni Esposito, regia Nicola Zavagli 
Produzione Teatri D’Imbarco

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Lo spettacolo sostituisce la rappresentazione “Fino all’ultimo sguardo. Ritratto messicano di Tina Modotti”.

Per la prima volta in teatro la storia vera di Iqbal Masih, il bambino pakistano dodicenne ucciso dalla “mafia dei tappeti” per essersi ribellato a chi lo aveva incatenato nel lavoro al telaio fin dalla più tenera età.
Ikbal, venduto a cinque anni, che non sa leggere né scrivere, con l’aiuto di un organizzazione internazionale scappa dai suoi aguzzini e si racconta al mondo. La sua storia diviene il simbolo dello sfruttamento minorile e lui ne pagherà le conseguenze con la vita. Ma Iqbal è un ragazzo coraggioso che ha scelto di combattere per affermare i diritti dei bambini nella sua terra e nel mondo. Iqbal impara a leggere e a scrivere e vorrebbe fare l’avvocato e sogna di aprire una scuola nel suo paese.
Grazie a lui si riaccende l’attenzione sui diritti dell’infanzia e il lavoro minorile e saranno liberati dall’inferno del lavoro più di tremila bambini. In Pakistan chiuderanno moltissime fabbriche di tappeti, ma questo non piace a chi ha bisogno di quelle piccole manine manufatturiere, preziose per intrecciare appunto quei bellissimi tappeti spesso presenti nelle nostre case.
E il sogno di Iqbal viene interrotto con violenza.
Uno spettacolo teatrale per tenere vivo Iqbal e proseguire il suo cammino dando ancora voce a molte sue parole.
“Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono le penne e le matite” – Iqbal Masih
LO SPETTACOLO TERMINA CON LA PRESENTAZIONE
ANIMATA DELLA CARTA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI
DELL’INFANZIA per sottolineare che tutto quello che appare scontato, come mangiare, giocare, andare a scuola, essere curato e perfino avere un nome, in realtà ha avuto bisogno della ratifica di un documento discusso e approvato da quasi tutte le Nazioni del mondo. nome, in realtà ha avuto bisogno della ratifica di un documento discusso e approvato da quasi tutte le Nazioni del mondo.

Lo spettacolo è consigliato anche al pubblico dei ragazzi e famiglie

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